I CRE-ATTIVI
GIOVANI INFLUENCER DI UNA SOCIETÀ FOLLOWER
6° RAPPORTO DI RICERCA (2018)
Nella consuetudine dell’Osservatorio “Generazione Proteo” di trovare ogni anno un appellativo che identifichi il tratto dominante della generazione intervistata, quest’anno i risultati suggeriscono un gioco di parole. La generazione del 6° Rapporto è infatti quella dei “cre-attivi”, ovvero giovani che stanno ridefinendo ciò in cui credono, la realtà in cui crescono e i diversi mondi che quotidianamente creano, tutto questo all’interno di una cornice temporale declinata al presente continuo. In tale cornice, la cre-attività di cui i giovani sono portatori può essere spiegata attraverso dieci key word, che sono proprio le cinque precedenti edizioni della ricerca a consegnarci: partecipazione e impegno, talento e speranze, ostacoli e reazioni, certezze e paure, tempo e relazioni.
La parola “partecipazione” rimanda in primis al tema della politica, rispetto alla quale la nostra ricerca in parte sfata alcuni luoghi comuni. Sovente infatti si sente dire che i giovani sono distanti, disinteressati, disaffezionati, scarsamente fiduciosi verso la politica. Termini abusati nel nostro parlare quotidiano, ma che non aiutano a decifrare la profondità del processo in atto: la disaffezione, per sua stessa definizione, è infatti un’emozione, una reazione emotiva a una affezione che è venuta meno. Ma quando parliamo di giovani 18enni, davvero ci si può esprimere in termini di disaffezione? Come si fa a parlare di “disaffezione” quando presumibilmente a monte non c’è stato il tempo materiale per una reale “affezione” (che si per sé è uno stato che richiede tempo per costruirsi)? Di qui dunque un equivoco interpretativo, che sovente porta a confondere quel fisiologico disinteresse, che un giovane può provare nei confronti di un dibattito politico di cui ancora non percepisce pienamente la centralità nel proprio vissuto quotidiano, con quella disaffezione che può invece patologicamente caratterizzare la generazione adulta.
A conferma di ciò, dalla ricerca emerge che, se a dichiararsi interessato nei confronti della politica è il complessivo 39,1% (percentuale peraltro in crescita rispetto alle precedenti edizioni della ricerca), i giovani mostrano invece un profondo rispetto nei confronti del voto inteso come strumento di democrazia. A fronte dunque di una società adulta la cui disaffezione nei confronti della politica si è palesata nelle inconsuete – per il nostro Paese – percentuali di astensionismo, c’è invece un 80% circa di giovani intervistati maggiorenni che hanno votato alle ultime elezioni. E questo non in virtù di una rappresentanza politica che evidentemente anch’essi in parte non sentono, bensì perché votare rappresenta un dovere civico.
Strettamente legata a “partecipazione” è la parola “impegno”. Un impegno che i giovani chiedono in primis alle Istituzioni, che percepiscono sì come quel soggetto che deve mettere ordine e dare stabilità nonché dettare le regole, ma anche come chi deve garantire l’uguaglianza, e ancor più come il custode dei valori più profondi che contraddistinguono una società. L’impegno non rappresenta tuttavia un qualcosa che i giovani si limitano a chiedere o che si aspettano solo dagli altri, quanto piuttosto una assunzione di responsabilità da cui essi non si sottraggono. A conferma di ciò, il 38% degli intervistati dichiara di svolgere attività di volontariato, cui si aggiunge un 30,5% che vorrebbe farlo, e questo perché la solidarietà viene percepita come un’occasione per fare qualcosa di concreto per la società, per provare a cambiare il mondo che li circonda oppure per fare un’esperienza di vita.
Una terza key word particolarmente efficace per descrivere la generazione dei cre-attivi è “talento”, di cui si parla, in particolare, soprattutto con riferimento al lavoro, che rappresenta peraltro il principale diritto che i giovani rivendicano. Un lavoro che la generazione dei cre-attivi, in linea con quanto emerso anche in precedenti edizioni della ricerca, sa di non potersi limitare a cercare, ma che al contrario bisogna contribuire a creare, investendo in qualcosa che appassiona, puntando sull’originalità oppure innovando un lavoro tradizionale. Un lavoro che deve in primis consentire di realizzare i propri sogni e gratificare, e solo per il 10,7% garantire una elevata retribuzione.
Il talento cui pensano i giovani non è tuttavia una dimensione estetica fine a sé stessa, bensì un qualcosa che presenta al proprio interno una marcata componente etica. Di qui dunque l’idea del talento come strumento attraverso cui dare forma e sostanza alle speranze – e “speranze” è appunto la quarta key word – che animano le giovani generazioni, in cima alla cui lista svetta l’idea di una società fatta di persone competenti, responsabili e affidabili, e in linea del tutto analoga sono proprio competenza e onestà che i giovani sperano contraddistinguano la nuova classe politica.
Nel descrivere il loro mondo ideale, i giovani sono tuttavia costretti a fare quotidianamente i conti con una serie di “ostacoli” (la quinta key word), che prendono forma in primis all’interno della scuola. Una scuola che essi considerano non al passo con i tempi principalmente per la rigidità di programmi ministeriali, espressione di sovrastrutture che essi percepiscono come obsolete. Una rigidità che, in particolare, impedisce di parlare di quei temi di cui i giovani vorrebbero invece si parlasse, in cima alla cui lista svettano l’attualità, la politica e la cultura. Ma di ostacoli si parla anche a proposito della Rete, e in particolare con riferimento al ben noto tema delle fake news, la cui diffusione, sostengono gli intervistati, è dovuta principalmente alla superficialità con cui le persone condividono contenuti in Rete e alla esasperata ricerca dei “like” che caratterizza i social.
Agli ostacoli si può e si deve tuttavia reagire, e non a caso “reazione” è la nostra sesta key word. Una reazione che prende forma per esempio nell’adesione alla pena di morte, sostenuta da 1 intervistato su 3 in una logica di contrappassi tale per cui è giusto che chi commette un grave crimine paghi con la propria vita, soprattutto quando le vittime sono soggetti particolarmente deboli come i bambini. Di “reazioni” si può parlare altresì a proposito del bullismo e del cyberbullismo, quest’ultimo in particolare percepito principalmente come una forma di gioco, in quella logica deviata di talent show emersa già in altre nostre precedenti ricerche. Solo 1 vittima su 3 ammette di aver reagito parlandone con genitori e insegnanti, e questo perché vi è la convinzione che un loro intervento avrebbe peggiorato la situazione, complice anche quella scarsa digital media literacy che contraddistingue gli adulti.
Settima key word, “certezze”, termine che riassume la posizione dei giovani rispetto a due temi all’apparenza lontani, seppur legati da una sottile linea rossa, ovvero famiglia e giustizia. Se una buona famiglia è infatti prima di tutto quella che sa insegnare valori, una società può dirsi giusta solo quando essa garantisce l’uguaglianza tra le persone, la tutela dei diritti e il rispetto della legge. Opposte rispetto alle certezze ci sono invece le “paure”, nella cui hit parade svetta la criminalità, percepita come minaccia tanto quanto il terrorismo e le problematiche ambientali.
La penultima key word – ossia “relazioni” – ci fa entrare nella sfera più intima e privata dei giovani, laddove prende forma quel complesso intreccio di rapporti che definiscono il loro “essere al mondo”. Dal primo punto di vista, è significativo che per circa il 70% la personalità di un giovane si definisca sulla base di ciò che si è (le persone frequentate e/o il linguaggio utilizzato) piuttosto che in ciò che si ha (il vestirsi alla moda, i dispositivi tecnologici posseduti, l’auto guidata).
L’ultima key word che ci consegna la nostra ricerca è “tempo”, particolarmente significativa poiché introduce quel tratto caratterizzante di questa generazione menzionato in precedenza, ovvero la difficoltà a coniugare la propria cre-attività all’interno di una dimensione temporale che spazia tra presente, passato e futuro. A conferma di ciò, basti pensare che, se l’80% si dice soddisfatto della propria vita attuale, solo il 28,8% – avendo a disposizione la macchina del tempo – resterebbe nel presente, a fronte del 46,3% che tornerebbe nel passato mentre è ancor più bassa è la percentuale di chi vorrebbe proiettarsi nel futuro.
In conclusione, la fotografia che emerge dalla ricerca è quella di una generazione la cui cre-attività sta producendo qualcosa che va ben oltre quel fisiologico cambiamento che caratterizza indubbiamente ogni passaggio inter-generazionale. In questo caso, tuttavia, ci sono due dati di cui non si può non tener conto. In primo luogo, il fatto che di questa rivoluzione gli adulti e le stesse Istituzioni sono sempre più spettatori passivi, quando non finanche freni al processo in corso, e questo principalmente per il loro essere fuorisync rispetto al ritmo che contraddistingue la quotidianità dei giovani (quasi fosse una aritmia sociale). Di qui dunque l’istantanea di una società follower rispetto a una generazione di giovani influencer. Tuttavia, e qui veniamo alla seconda considerazione, che riporta a quanto emerso già nel 4° Rapporto, la capacità dei giovani di essere influencer tende a rimanere circoscritta in un alveo che sovente finisce per essere strettamente “privato”, complice anche quella crisi del concetto di “pubblico” che oggi investe la nostra società nel complesso. Va da sé che, finché la nostra società non saprà riappropriarsi del significato più vero e autentico del concetto di “pubblico”, anche la cre-attività di cui i giovani sono espressione finisce per restare una “emozione privata” e non una “reazione pubblica”.