I TALENTUOSI ACROBATI

4° RAPPORTO DI RICERCA (2016)

«È tutto un equilibrio sopra la follia», recita Sally, la famosa canzone di Vasco Rossi, e nessuna espressione appare più efficace per descrivere la fotografia che emerge dal 4° Rapporto “Generazione Proteo”: l’immagine di una generazione di talentuosi acrobati costretti a esibirsi sul palcoscenico rappresentato da una società feroce, che ha smarrito il senso più autentico del concetto di “pubblico”, e che si affidano alla loro creatività per costruire il mondo che vorrebbero.

Il punto di partenza ideale per una lettura ragionata dei principali risultati che emergono da questa quarta edizione della ricerca è rappresentato senza dubbio dalla menzionata crisi del concetto di “pubblico”, che tende a declinarsi a tre diversi livelli. In primo luogo, come crisi di quella rappresentanza pubblica che scaturisce dalla percezione, ampiamente diffusa tra gli intervistati, dell’avvenuto divorzio tra l’idea più alta e nobile di “politica” (ovvero l’arte di governare e la massima espressione dell’idea di partecipazione) e l’esercizio del potere (inteso come capacità oggettiva di agire, di fare qualcosa a beneficio della collettività). La patologica degenerazione di questo rapporto, esacerbata dall’immagine di una classe politica che viene percepita come corrotta (20,6%) e rispetto alla quale i giovani provano vergogna (18,4%) e disprezzo (15,6%), si traduce sì in quel pur sempre allarmante disinteresse nei confronti della politica che è emerso anche nelle precedenti edizioni della ricerca, ma soprattutto in una – mai come quest’anno – evidente revoca della delega su cui per definizione si fonda la democrazia.

È proprio con riferimento a questo aspetto che la menzionata crisi della rappresentanza pubblica si intreccia con l’altrettanto percepita crisi dell’etica pubblica: i giovani si dichiarano infatti indignati per i tanti scandali politici e religiosi degli ultimi anni, riflesso di una società che ha perso i propri valori, e affermano esplicitamente di non ritenere l’attuale classe politica come degna della loro fiducia. I giovani sono tuttavia altrettanto risoluti nell’affermare che la ricostruzione del legame fiduciario tra cittadini e Istituzioni non passa più per la competenza (che storicamente costituisce una delle virtù cardinali del “buon politico”, ma che nella ricerca viene indicata solo da 1 intervistato su 10), ma prima di tutto per l’onestà e a seguire per la vicinanza alle esigenze dei cittadini: allo stato attuale, dunque, essi preferiscono una classe politica forse tecnicamente meno competente (10,1%), ma non sono disposti a scendere a compromessi su quei valori etici cui i comportamenti politici non possono non ispirarsi. Se i tradizionali istituti della rappresentanza pubblica non appaiono efficaci quando ci si muove sul piano delle Istituzioni e delle politiche nazionali, il discorso invece cambia quando ci si sposta sul piano internazionale. I giovani si sentono infatti “cittadini europei” (61,7%), espressione cui attribuiscono il significato di “costruttori di una cultura condivisa” (35,7%) e di “portatori di una stessa visione politica ed economica” (21,6%), sebbene questa condizione, a detta di un intervistato su tre, non ha migliorato lo standard di vita delle proprie famiglie.

Un terzo livello di crisi del concetto di pubblico, che il Rapporto mette bene in luce, si lega strettamente al tema del lavoro, che rappresenta il sogno proibito di una generazione la cui principale paura verso il futuro consiste nel non vedere realizzati i propri sogni (29,3%). I giovani si dichiarano infatti spaventati tanto dalla possibilità di non trovare occupazione (24%) quanto dal rischio di doversi accontentare di un lavoro che non offre una retribuzione sufficiente per vivere (15,6%). Di qui dunque la sfida: il lavoro non va più cercato, bensì creato. Alla fatidica domanda “Cosa vorresti fare da grande?”, un intervistato su due risponde infatti “la libera professione” (34%) o “l’imprenditore” (22,1%), meno in Italia e più all’estero. I giovani affermano altresì di avere il pieno sostegno della propria famiglia in tale scelta. Aspettative dei genitori e aspirazioni dei figli convergono quindi nel comune desiderio di trasformare il “sogno lavoro” in una realtà “che piace” o “che rende felici”, e che raramente coincide con il “posto fisso”. Il tramonto del “posto fisso” (ambìto solo dal 10, 2% dei giovani) sintetizza tuttavia non la crisi di un modello occupazionale che nel sentire comune normalmente si legava alla Pubblica Amministrazione, ma rappresenta anche una svolta epocale dal punto di vista socio-culturale, in quanto non costituisce più quella realizzazione del sé che un tempo coincideva con l’ingresso nel mondo adulto.

Nella condizione di follia che abbiamo fin qui descritto, dove a essere imploso è il concetto di res publica come bene condiviso, i nostri giovani devono avere quell’agile leggerezza (fondamento del talento dell’acrobata) necessaria per trovare un loro equilibrio (e qui veniamo al secondo termine) tra forze opposte e diverse: da una parte una più marcata idea di famiglia tradizionale (76,1%), dall’altra un’apertura verso modelli relazionali non necessariamente eterosessuali, cui riconoscono in larga parte il diritto di sposarsi con rito civile, ma in misura nettamente inferiore il matrimonio religioso o l’adozione. E ancora: da una parte un plebiscito in tema di trapianto di organi (87,3%), dall’altra un allarmante favore verso la pena di morte (38,6%). Forze opposte e diverse emergono anche quando il discorso si sposta sul tema dell’immigrazione: da una parte, la solidarietà (23,5%) nei confronti dell’immigrato, che viene percepito come una persona costretta a scappare dal proprio Paese (70,2%) e la cui integrazione può rappresentare una forma di arricchimento sociale e culturale (29%); dall’altra una più marcata chiusura nei confronti degli stessi, che si traduce in sentimenti di pietà (15,1%) e diffidenza (9,5%) e in molti casi addirittura di indifferenza (12,2%).

A dover gestire questo delicato “gioco di equilibri sopra la follia” è dunque quella generazione che abbiamo definito di “talentuosi acrobati”: giovani che sanno destreggiarsi con leggerezza nel percorso incerto su cui si trovano a camminare, e che si affidano al loro talento per trasformare i valori della tradizione in cui continuano fortemente a credere (famiglia, amicizia, ecc.) in quell’innovazione su cui devono costruire il loro futuro. Un’innovazione che – da questo punto di vista – diventa la chiave per restituire dignità a un sistema politico-istituzionale in cui essi oggi non si riconoscono, ma del quale invece avvertono la necessità: elemento imprescindibile della società nella quale si immaginano il loro futuro.

Da una parte, infatti, dalla ricerca emerge come la fiducia nei confronti delle Istituzioni abbia raggiunto quest’anno il minimo storico, con nessuna Istituzione tra quelle proposte che raggiunge la sufficienza. Dall’altra parte, il bisogno di una risposta pubblica quale fondamento della società nella quale i giovani vorrebbero vivere, emerge chiaramente in quelle tematiche che toccano la loro quotidianità. In primo luogo, quando si parla di bullismo, fenomeno che prende forma soprattutto a scuola. Un terzo dei giovani intervistati (32,4%) dichiara infatti di essere stato insultato per il suo aspetto fisico, nonché di essere stato vittima di diffusione di false notizie (34,1%), esclusione o isolamento (28,1%), insulti ripetuti (29,4%), pubblicazioni di status denigratori e offensivi (14,5%), telefonate o messaggi sgradevoli (29,1%), pubbliche umiliazioni (25,1%). Fenomeni che i giovani ritengono possano essere contrastati attraverso l’integrazione di strumenti culturali – quali l’educazione al rispetto da parte delle famiglie (33,2%), le attività formative e di dialogo nelle scuole (17,6%) e le attività di sensibilizzazione alla cultura della legalità e della non violenza (15,7%) – con strumenti di carattere normativo, quali per esempio quelli contenuti in alcune recenti proposte di legge.

La stessa esigenza di una “risposta pubblica” emerge anche con riferimento al terrorismo. I giovani (73,8%) percepiscono infatti la minaccia dell’Isis – al punto da aver ridotto i viaggi all’estero e finanche rinunciato alla gita scolastica (13,6%) – e chiedono alle Istituzioni una risposta forte, convinti come sono del fatto che la loro sicurezza passi attraverso una politica internazionale di inasprimento dei controlli (29,7%), di espulsione degli immigrati irregolari (16,7%), finanche di chiusura delle frontiere (14,1%).

In conclusione, il 4° Rapporto consegna la fotografia di una generazione che ha sicuramente del talento e che desidera esibirlo. In che modo, tuttavia? Eseguendo un numero già visto e ripetuto, soffocando la sua energia creativa, oppure raccogliendo la sfida di eseguire una nuova performance acrobatica? Nel primo caso, il rischio è che una generazione certamente in cerca di visibilità finisca per accontentarsi dei 15 minuti di celebrità profetizzati da Andy Warhol. Nel secondo caso, il talento da solo non basta, se non si accompagna a una giusta dose di coraggio: tanto quello innato, che i giovani di oggi posseggono in misura decisamente maggiore rispetto alle precedenti generazioni, costretti come sono a confrontarsi quotidianamente con una società feroce ed efferata, quanto quello che deve essere loro infuso dal mondo degli adulti, e in particolare dalle Istituzioni.