I GIOVANI LEOPARDI
L’ABBRACCIO AL FUTURO
DELLA GENERAZIONE POST-COVID
9° RAPPORTO DI RICERCA (2021)
Nel corso dei suoi 9 anni di vita, l’Osservatorio “Generazione Proteo” ha tratteggiato il ritratto di una generazione di giovani inafferrabili, solisti fuoriclasse, talentuosi acrobati, impegnati in una quotidiana corsa a ostacoli, che vedono nella cultura e nella cre-attività gli antidoti a una società che sembra aver smarrito il senso più vero e autentico del concetto di “pubblico”. Una generazione che dunque non si adagia, ma re-agisce anche con quella resilienza che rimarcavamo lo scorso anno all’alba dell’emergenza sanitaria globale.
A un anno di distanza, tuttavia, le cose sono inevitabilmente cambiate, e la generazione che presentiamo qui oggi è il riflesso di quella società per cui la pandemia non costituisce più uno stato di crisi temporanea, bensì lo spartiacque tra ciò che eravamo e ciò che siamo.
Chi sono dunque i giovani della generazione post-Covid? Noi li abbiamo definiti “giovani leopardi”, termine che evoca tanto il poeta quanto il felino. Da una parte infatti c’è il pessimismo che contraddistingue il poeta, dall’altra lo slancio felpato del predatore alla ri-conquista del proprio territorio. Il poeta e il felino, quindi, che vivono una costante tensione tra il subire e il reagire in tutti i diversi ambiti e contesti che definiscono una quotidianità infettata dalla pandemia.
Partiamo dalla scuola. Qui i giovani si trovano a “subire” una nuova modalità di apprendimento che, a un anno dal suo avvio, non convince la maggioranza degli studenti. Solo 1 intervistato su 3 (30,5%) promuove infatti la Dad, laddove il 24,8% la giudica negativamente e il 44,5% vive uno stallo tale da non riuscire neppure a esprimere un’opinione. A finire sul banco degli imputati sono, in particolare, la maggiore facilità a distrarsi quando si è online (67,4%) così come la sensazione di sentirsi poco coinvolti (18,9%). Ma il vero dato che ci lascia l’amaro in bocca sta in quel 44,9% di giovani che sono convinti di essersi persi qualcosa di importante.
Perché la scuola è apprendimento sì, ma sappiamo essere anche crescita, relazioni, rapporti quotidiani. E sono proprio questi rapporti a essere mancati, tanto quelli con i compagni di classe (45,1%) quanto quelli con gli insegnanti (18,5%). Ed è proprio per questo che, alla domanda “cosa provi pensando alla scuola in presenza?”, la maggioranza dei giovani risponde la nostalgia (50,3%).
Ma è proprio qui che reagisce quel leopardo felino, che al pessimismo del poeta nei confronti della scuola che è, si attiva invocando la scuola che vorrebbe: una scuola capace di rinnovare i propri programmi anche adattandoli alla modalità didattica online (33,6%); una scuola che non lasci indietro nessuno studente, sia esso economicamente svantaggiato o portatore di disabilità; una scuola rispettosa dell’indivisibilità della classe.
Il poeta e il felino ci accompagnano anche quando ci si sposta dalla dimensione della scuola alla sfera propriamente pubblica. Qui i giovani mostrano un drammatico calo del loro interesse nei confronti della politica, che scende dal 42,1% dello scorso anno al 33,6% di quest’anno. E questo anche in ragione di una politica che la quasi totalità degli studenti (per nulla 41,1%, poco 47,2%) ritiene non interessata ad ascoltare le giovani generazioni.
Ma è anche altro a preoccupare, ovvero quello relativo alla fiducia nei confronti degli attori pubblici. A subire un netto peggioramento è infatti la fiducia nei confronti della politica (74,6%), così come quella verso la magistratura (59,6%), l’informazione (48,2%) e l’Unione europea (47,1%). Un pessimismo istituzionale, dunque, cui fa invece da contraltare una grande fiducia nei confronti della scienza (migliorata per il 44,1%), considerata come quel qualcosa grazie al quale il mondo evolve (56,4%). Ma ahi noi, la fiducia scricchiola quando si parla di scienziati, di cui si lamenta il loro essere troppo presenzialisti in tv (13,9%), non sempre capaci di spiegare con parole semplici quello che sta capitando (10,9%) e che addirittura 1 intervistato su 5 ritiene essere complice della politica.
Se il poeta guarda dunque con sospetto agli attori della sfera pubblica, i giovani felini vanno oltre, indirizzando invece la propria ferocia nei confronti del virus, che ritengono potrà essere sconfitto principalmente attraverso la vaccinazione di tutta la popolazione (42,1%) e l’allentamento delle restrizioni (30%). Di qui dunque una adesione quasi plebiscitaria dei giovani al vaccino anti-Covid (84,6%), di cui - senza se e senza ma - vogliono poter beneficiare essi stessi il prima possibile (79,4%), forti di quel senso di protezione del branco che si concretizza in uno slancio altruistico verso la sfera dei propri affetti, a cominciare dai genitori e dai nonni (46,4%).
Il richiamo agli affetti costituisce il gancio per l’ultima dimensione su cui si focalizza il 9° Rapporto di ricerca, ovvero quella strettamente privata. Qui i giovani ci raccontano di aver innanzitutto subìto la rimodulazione del tempo imposta dalla pandemia, tra giornate che non passano mai (15,5%) o che scorrono via troppo velocemente (21,5%), in entrambi i casi sovente con la sensazione di non aver fatto nulla di costruttivo (26,4%). Un tempo che, al contrario, anche quest’anno resta in cima alla lista delle riscoperte (tempo per se stessi: 16,6%, 15,1%: tempo per gli altri) insieme ancora una volta alla libertà (32,8%). Libertà che inevitabilmente si associa al concetto di tempo libero, bene prezioso che tuttavia solo la metà degli intervistati ritiene esista ancora (50,8%).
Privati del tempo, privati della libertà, privati della possibilità di muoversi liberamente nello spazio che li circonda, privati della loro quotidianità, i giovani poeti rispondono descrivendo la propria generazione come insicura (87%), demotivata (76,4%), impreparata (64,8%), solitaria (53,7%). Ma, come per la scuola e la sfera pubblica, anche per la dimensione privata il pessimismo del poeta cede presto il passo al felino, come testimoniano quel 68,3% e quel 57,4% per cui la generazione post-Covid è creativa e reattiva. I giovani non si abbandonano infatti al pessimismo, ma vi reagiscono forti del sostegno della propria famiglia, che emerge come il baluardo della speranza verso il futuro (32%). Una famiglia che i giovani sperano di poter presto tornare ad abbracciare, individuando in questo semplice gesto, prima ancora che nei viaggi, negli stadi e nei concerti, il simbolo del ritorno alla normalità (47%). Una normalità che appartiene, dunque, alla sfera dell’essere, prima ancora che a quella dell’avere o del fare.
Ed è qui che mi torna alla mente quella bellissima frase de Il Trono di Spade: «Quando cade la neve e soffiano i bianchi venti della tempesta - era solito infatti ripetere Ned Stark ai propri figli - il lupo solitario muore, ma il branco sopravvive». E allora, nell’inverno della pandemia, non possiamo che essere grati ai nostri giovani perché essi ci ricordano il valore autentico e imprescindibile del fare comunità.