I RE-ATTORI
ASPIRANTI PROTAGONISTI IN CERCA DI LEGITTIMAZIONE

7° RAPPORTO DI RICERCA (2019)

Nel corso dei suoi ormai sette anni di vita, la nostra ricerca ha consentito di tratteggiare l’immagine di una generazione inafferrabile, fatta di solisti fuoriclasse e talentuosi acrobati impegnati in una quotidiana corsa a ostacoli e che vede nella cultura l’antidoto alla follia di una società che sembra aver smarrito il senso più vero e autentico del concetto di “pubblico”. Una generazione infine, quella tratteggiata appena un anno orsono, fatta di cre-attivi influencer costretti quotidianamente a confrontarsi con una società sempre più fuorisync nel suo essere follower.

È proprio questo disallineamento l’ideale anello di congiunzione tra la precedente edizione della ricerca e i risultati dell’indagine 2019.

Copertina Re-attori

Rispetto a un anno fa, il 7° Rapporto di ricerca conferma infatti il permanere di questo disallineamento, ma introduce anche un significativo elemento di novità, identificato in un inarrestabile desiderio di reazione da parte dei giovani. Di qui dunque la scelta di definire i giovani del 2019 come i re-attori, termine particolarmente efficace per spiegare tanto la spinta propulsiva che li contraddistingue (quella stessa spinta che, per definizione, caratterizza un reattore) quanto il loro candidarsi a un ruolo di attori protagonisti rispetto a un copione che, per ora, li ha – sicuramente anche non volutamente – relegati al ruolo di spettatori (e di qui il gioco di parole del re-attore, ovvero l’attore che reagisce).

Ma rispetto a cosa i nostri giovani si candidano a essere reattori? Certamente rispetto a una società percepita come fortemente individualistica, e nella quale i rapporti, le relazioni, faticano a trovare una durata che vada oltre il tempo di un video scambiato su WhatsApp o condiviso sui social network, quando non addirittura a valicare i confini di una dimensione esclusivamente virtuale. A questa tendenza all’individualismo i giovani reagiscono invece con una marcata propensione all’altruismo e, più in genere, a una visione del sé in relazione, in partecipazione, finanche in comunione con l’altro. Non a caso “aiutare gli altri” è il principale insegnamento che i giovani si aspettano e chiedono ai propri genitori (45,3%). Questa propensione all’altruismo prende forma in molteplici e diversi ambiti nei quali si declina la quotidianità dei nostri giovani. Per esempio, quando si parla di volontariato, che il complessivo 69,5% degli intervistati dichiara di svolgere e/o di voler svolgere. In particolare, a muovere i giovani a compiere gesti di solidarietà è principalmente uno slancio altruistico, come suggerisce il 32,5% degli intervistati che risponde “per provare a cambiare il mondo che ci circonda” o quel 26,9% che si dichiara mosso dal desiderio di “fare qualcosa di concreto per la società”.

“Altruismo” non fa tuttavia rima solo con “solidarietà”, ma anche con “inclusione”. Soprattutto nei confronti degli omosessuali, che per la maggioranza degli intervistati (54,5%) non hanno nulla che li renda diversi dagli altri (54,5%); semmai, come sostiene il 19,2%, essi contribuiscono a una società più aperta e nuova. “Altruismo”, per i giovani intervistati, significa infine dire “sì” alla donazione degli organi (89,4%), così come esprimersi a favore dei diritti civili: l’84,1% è a favore delle unioni miste, il 64% alla fecondazione assistita, il 60,8% all’aborto, mentre essi appaiono più cauti sul suicidio assistito (51,6%) e l’adozione di un figlio per le coppie omosessuali (47,2%). Stesso discorso per quanto riguarda la distribuzione dei preservativi a scuola (56,2%) e la legalizzazione delle droghe leggere (53,9%), mentre i giovani si spaccano sulla possibilità della patente a 16 anni (47,4% a favore, 38,1% contrari), infine dicono un deciso “no” all’acquisto di alcool (72,3%) e di sigarette (69,8%) per i minorenni.

Altrettanto importante è la spinta propulsiva che muove gli stessi a reagire allo stereotipo di una generazione poco interessata nei confronti della politica. A conferma di ciò, negli ultimi due anni la curva dell’interesse dei giovani nei confronti della politica ha subìto una vera e propria impennata, crescendo dal 30% del 2016 al 39,1% del 2018, fino al 41% del 2019. Dopo anni nel corso dei quali abbiamo registrato un sostanziale disinteresse dei giovani nei confronti della politica, il 2019 certifica dunque quel ritorno di interesse già riscontrato nel 2018. Ma non solo. Nelle passate edizioni della ricerca avevamo infatti più volte registrato un’elevata percentuale di “non risponde” alle domande in cui si chiedeva ai ragazzi di dire la loro su ciò che la politica potrebbe o dovrebbe fare. Ebbene, quest’anno la nostra ricerca segna invece una significativa inversione di tendenza, gettando acqua su quella cultura del sospetto che sovente anche i media contribuiscono ad alimentare: i giovani non solo sono informati sui principali temi al centro dell’agenda politica, ma rispetto ad essi hanno una propria opinione che sono altrettanto in grado di argomentare, di motivare.

Gli esempi sono tantissimi: pensiamo per esempio al tema, oggi attualissimo, del reddito di cittadinanza. Qui circa 2 giovani su 3 si dichiarano a favore della misura, che percepiscono principalmente come uno strumento in grado di restituire dignità alle persone in difficoltà (20,3%) ma che, nel 37,7%, approvano solo a patto che ci siano i necessari controlli. Oppure in tema di legittima difesa, a favore della quale si schiera la quasi totalità degli intervistati (85,5%), seppur rimarcando come sia giusto sparare a un ladro che entra in casa solo ove vi sia un reale e oggettivo pericolo di vita.

Un altro tema al centro dell’agenda politica sul quale i nostri giovani mostrano di essersi fatti un’opinione è quello relativo alla regionalizzazione dell’istruzione, rispetto alla quale si dicono contrari poiché ritengono che non debbano esserci differenze nei programmi scolastici (30,4%) o perché temono gli effetti negativi sulla formazione derivanti dal divario economico tra Regioni (29,1%). Una domanda non poteva poi non riguardare l’alleanza di governo, che non convince il complessivo 70,9% degli intervistati, principalmente perché vi è la percezione di profonde differenze tra le diverse forze politiche coinvolte (32,8%), ma senza dimenticare quel 27,5% di intervistati secondo cui l’alleanza di governo sarebbe solo “un modo di spartirsi le poltrone”. Un altro tema di grandissima attualità, sul quale i giovani appaiono non solo informati, ma anche in grado di esprimere e motivare la propria opinione è quello relativo alla chiusura dei porti ai migranti, rispetto al quale quasi il 40% degli intervistati (37,6%) rimarca come si tratti di una questione che va oltre i confini e le responsabilità dei singoli Stati, e su cui invece è necessario un intervento strutturale da parte dell’Unione Europea.

E qui veniamo a un altro stereotipo nei confronti del quale i nostri giovani mostrano chiaramente di voler reagire, e che chiama in causa il tema di più stretta attualità che il nostro questionario è andato a indagare, ovvero l’Europa.In una società che tende infatti sempre più a spaccarsi tra europeisti e anti-europeisti, i giovani Proteo assumono invece una posizione diversa. Essi percepiscono infatti l’Europa principalmente come un processo culturale, come suggerisce quel 31% di intervistati secondo cui essere cittadini europei significa “costruire una cultura condivisa”. Rispetto a un’idea di Europa che nel percepito comune rimanda primariamente alla dimensione economica, i giovani rispondono dunque con l’immagine di un’Unione culturale europea. Ma i giovani hanno anche una chiara idea della dimensione politico/istituzionale dell’Ue, che essi percepiscono primariamente come potenza internazionale (21%), nell’ambito della quale, tuttavia, non tutti i Paesi possono vantare lo stesso livello di influenza (25,3%). Un’Europa su cui – a detta di 1 intervistato su 5 (20,3%) – grava in primis la responsabilità di non aver saputo gestire il problema dell’immigrazione. In questa Europa dove non tutti i Paesi possono vantare la stessa influenza, la maggioranza dei giovani (59,4%)  ritiene che l’Italia conti per nulla (9,3%) o poco (50,1%). Eppure, il 78,9% sostiene che il nostro Paese non dovrebbe uscire dall’Ue. Un’Europa, infine, alla cui costruzione i giovani non intendono sottrarsi, come certifica quell’80,2% di intervistati che andrà a votare il prossimo 26 maggio, e questo principalmente perché – in maniera del tutto speculare a quanto emerso lo scorso anno con riferimento alle elezioni politiche – “votare è un dovere civico” (76,6%).

Un quarto ambito rispetto al quale i giovani del 7° Rapporto di ricerca si candidano come reattori chiama in causa quella crisi del concetto di “pubblico” che era già emersa nel 4° Rapporto di ricerca, e che in questi anni ha sempre trovato conferma nelle nostre indagini. Al di là della percezione, che essi hanno da tempo di questa crisi, ciò che caratterizza i giovani del 7° Rapporto è tuttavia – e ancora una volta – una spinta al cambiamento, che prende forma anzitutto in quella rinnovata consapevolezza che essi mostrano della centralità del ruolo sociale di agenzie educative quali la famiglia o la scuola. Da questo punto di vista, mi colpisce in particolare come i giovani esaltino il ruolo dell’insegnante, che giudicano come “una vocazione” (25,5%) e “uno dei mestieri più importanti” (35,1%), denunciando nel contempo il fatto che esso, nel nostro Paese, sia sottovalutato e/o sottopagato (30,3%)e condannano dunque i tanti episodi di violenza di cui gli insegnanti sono vittime, rimarcando come essi siano frutto anche di quel clima di violenza e odio cui – ad avviso del 15,6% degli intervistati – la società attuale ormai quotidianamente istiga e che nell’hate speech trova la sua massima espressione nei social, che i giovani vedono in primis come il principale strumento attraverso cui vengono veicolati foto, video, scherzi o insulti cattivi che, per il 57% degli intervistati, rappresentano la principale minaccia alla propria reputazione. Per non dire delle fake news, alla cui diffusione contribuiscono in egual misura una dolosa volontà di condizionare negativamente fatti o personaggi pubblici/politici (27,5%), una colposa superficialità nella condivisione dei contenuti in Rete (26,9%), infine una edonistica ricerca dei “like” (23,2%). A questa società violenta e che ha smarrito il concetto di “pubblico”, la maggioranza dei giovani reagisce tuttavia con un “no” alla pena di morte, la cui percentuale di contrari cresce quest’anno al 55,6% (contro il 41,4% del 2018), mentre a dichiararsi a favore è il 28,4% (dato in diminuzione rispetto al 34,5% di un anno fa, seppur ancora allarmante).

Da ultimo, i giovani del 7° Rapporto di ricerca mostrano un reale desiderio di reazione dinanzi alla crisi del mercato del lavoro. Appena pochi anni fa, infatti, nella classifica delle paure giovanili svettava il timore di non poter trovare un lavoro. Oggi quella paura, seppur non svanita, trova tuttavia una diversa declinazione, grazie all’acquisita consapevolezza di un lavoro che non va soltanto cercato, quanto piuttosto creato. Di qui dunque il plauso dei giovani nei confronti di quelle persone che hanno saputo trasformare le proprie passioni in attività lavorative, a cominciare dagli influencer (il 40,9% degli intervistati riconosce loro di aver saputo trasformare un hobby in un business) e dai gamer (il 48,4% plaude infatti la loro capacità di aver fatto “fruttare una passione personale”), per non dire della possibilità di avviare una propria start-up, a favore della quale si dichiara quasi la metà degli intervistati (44,9%). E del posto fisso, invece, cosa pensano i giovani? Metà di essi tendono a considerarlo negativamente: il 29% afferma infatti che non è possibile rinunciare alle proprie ambizioni per uno stipendio sicuro, mentre il 14,9% lo giudica esplicitamente come l’emblema di una visione del lavoro totalmente fuorisync rispetto all’economia attuale.

Tra le principali paure la ricerca ci dice che – ai primi posti di questa particolare classifica – c’è la povertà, che spaventa il 22,1% dei giovani. Quella stessa povertà, o meglio il suo contrasto, che svetta anche in cima alla lista delle priorità di cui, ad avviso dei giovani, dovrebbe occuparsi il Governo (21,7%), pur in una classifica dove fatica a emergere una reale priorità a dispetto invece di una richiesta di impegno complessivo dal quale non restino esclusi il contrasto alla criminalità (15,9%), la riduzione delle tasse (14,4%), la gestione dei flussi migratori (12,9%), le politiche per l’occupazione (12,7%), la riduzione dell’evasione fiscale (10,3%), le politiche per l’ambiente (10%). Mancanza del lavoro da una parte e povertà dall’altra sono dunque i principali timori – diversi tra loro eppure oggi quanto mai strettamente correlati – che affliggono i giovani e che i giovani stessi identificano come simboli del disagio sociale.

Un disagio che, a detta degli intervistati, prende forma soprattutto nell’immagine di un padre che decide di togliersi la vita dopo aver perso il proprio lavoro (33,4%). In conclusione, nel loro essere portatori di una spinta propulsiva, i giovani non rimandano infatti a un futuro non meglio precisato l’assunzione di un ruolo attivo nella nostra società. È qui e adesso, dunque, che essi vogliono far sentire la loro voce, perché esprimere la propria opinione è “uno dei principi essenziali della società” (60,8%). Di qui dunque il loro plauso verso iniziative ben note come quella di Greta, che i giovani ammirano perché è riuscita a riportare all’attenzione pubblica un tema importante (40,5%) e per il suo essere un esempio che ha indotto altri ragazzi a fare lo stesso (12,5%). Pur ammirando la coetanea, 1 intervistato su 4 dubita tuttavia che la sua iniziativa potrà realmente cambiare le cose, in assenza di una legittimazione da parte del mondo adulto, e delle Istituzioni in particolare.

Utilizzando una metafora calcistica, i giovani ci stanno dunque facendo un assist, e spetta a noi, mondo adulto, scegliere se sostenere o meno la loro candidatura ad attori protagonisti del presente. Ma con la consapevolezza che, in assenza di un tempestivo riscontro, i giovani – e questo ce lo dice chiaramente la nostra ricerca – avendone la possibilità, sceglierebbero di vivere in un’altra epoca (il 46,6%, in particolare, sceglierebbe di tornare nel passato) o di nascere in un altro Paese (31,7%).